Obiettivo Cina: cogliere le opportunità, calibrando i rischi

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Management 1. Analisi Preliminare

In tema di commercio internazionale, la Cina si colloca ormai saldamente al centro della scena. Secondo recenti stime, nel 2021 il gigante asiatico si è confermato maggiore esportatore su scala mondiale, e secondo maggiore importatore alle spalle dei soli Stati Uniti.

Relazionarsi col mercato cinese risulta quindi, al giorno d’oggi, un elemento di primario rilievo non soltanto per le grandi imprese, ma anche per molte PMI che mirino ad ampliare il proprio raggio d’azione. Puntare alla Cina implica però, in molti casi, anche una serie di dubbi e timori da parte della piccola media impresa, che immagina un mercato vicino come destinazione più facilmente accessibile.

È davvero così? Può aver senso, per la PMI, puntare oggi sulla Cina? Lo abbiamo chiesto a Pierantonio Gallu, consulente che supporta i processi di crescita delle PMI industriali tramite l’ingresso in nuovi mercati e il rafforzamento delle reti distributive, e che vanta una peculiare conoscenza del mercato cinese. Riportiamo in questo articolo le sue riflessioni, in risposta alle domande che più frequentemente riceve da parte delle imprese, sui dilemmi dell'"obiettivo Cina".

È il momento di puntare al mercato cinese?

Se ci riferiamo ai trend dell’economia mondiale, direi che già da un bel po’ di tempo è il momento di inserire la Cina nella lista dei mercati target. A conferma di ciò, basta guardare gli ultimi dati sugli investimenti diretti esteri (IDE) nei vari paesi del mondo: nel 2020, in piena pandemia, gli IDE a livello globale sono diminuiti del 35%, con crolli verticali in tutti i principali mercati mondiali. In Cina gli IDE sono aumentati del 6%, raggiungendo praticamente il livello USA. La Cina è rimasta quindi al centro dell’attenzione dagli investitori esteri, anche in un anno difficile come il 2020.

Se il riferimento è allo specifico periodo della pandemia, che stiamo vivendo da più di due anni, la mia opinione è che le imprese interessate, procrastinando questa decisione, rischiano di essere tagliate fuori dai giochi. Per citare un altro dato, una recente ricerca della British Chamber of Commerce in China conferma che i tre quarti delle aziende britanniche intervistate prevedono, per il 2022, investimenti in Cina superiori o uguali a quelli del periodo pre-pandemico – così come stanno aumentando gli investimenti tedeschi e francesi.

A mio avviso, chi vuole andare o crescere in Cina, e lo fa adesso, può acquisire un enorme vantaggio competitivo sui concorrenti.

Ormai da più di due anni, a causa della pandemia e delle relative limitazioni agli spostamenti, è molto difficile riuscire a raggiungere (fisicamente) il paese del Dragone. È un limite da tenere in considerazione per la nostra impresa, che andrebbe ad approcciare per la prima volta questo mercato?

In questo contesto, il primo consiglio che mi sento di dare è di non aspettare che la situazione dei viaggi migliori per fare la prima mossa.

Inoltre, mi viene in mente un episodio che mi è accaduto nel corso di un viaggio in Cina nella seconda metà del 2019. Stavo visitando dei potenziali distributori per un’azienda italiana nel settore della carta da packaging, che voleva esportare in Cina. In quel momento le condizioni del mercato erano di un eccesso di offerta e di conseguenza prezzi molto bassi.

Un distributore (che per dimensione di fatturato superava abbondantemente la stessa azienda che rappresentavo), mi disse: “Se avete intenzione di rimanere in Cina non c’è momento migliore per entrare. Quando in futuro i prezzi aumenteranno, voi avrete già tarato il vostro business sui momenti difficili e sarete avvantaggiati sui concorrenti internazionali.”

Questo è l’approccio giusto per la Cina: lasciare la mentalità “prendi i soldi e scappa” che ha caratterizzato tante aziende in passato, e guardare a un progetto di lungo periodo.

La nostra azienda ha già distributori e clienti in Cina, ma con lo shock pandemico la possibilità di effettuare visite di persona è notevolmente scesa. Quali sono le strategie raccomandate in questa situazione?

Si tratta di una situazione molto comune. Oltre a chi viaggia per lavoro, in alcuni casi si tratta di manager italiani residenti in Cina, ma con famiglia in Italia, e che sono rimasti qui dopo lo scoppio della pandemia. Questi manager hanno dovuto adattarsi a gestire in remoto non solo i rapporti con Key Account e distributori, ma anche con il loro stesso team cinese.

Per le aziende che hanno un team in Cina, vedo un rischio e un’opportunità in questa situazione. Il rischio è che il team cinese, e mi riferisco soprattutto alla parte commerciale, senza la presenza costante di una guida adotti un approccio al mercato “alla cinese”, non facendo valere adeguatamente i vantaggi di un brand straniero. Il vantaggio è riuscire a trasformare questa situazione in un’opportunità per rendere il team cinese più indipendente, cosa che prima o poi dovrà avvenire. Ciò è possibile solo fornendo loro strumenti, messaggi e training perché possano trasferire il valore dell’azienda ai clienti.

Chi invece non dispone di personale in Cina, non deve illudersi di riuscire a seguire i clienti da remoto. I cinesi, pur essendo molto evoluti dal punto di vista digitale, soprattutto nel mondo B2B, vogliono sempre il contatto umano. In questo caso l’opzione migliore è affidarsi a terze parti che dispongano di personale cinese qualificato, in grado di agire in loco per conto dell’azienda.